Champagne d’autore

Our style is a new way to drink champagne

Uno stato d’animo, una transizione tra tinte forti e metalli lucenti
che si inseguono senza mai essere né una né l’altro.
Una provocazione che converge in altezza per trovare
la sua massima espressione nel piacere del bicchiere. 

Il vino ai tempi dei monaci benedettini

È a una scoperta del monaco Dom Pérignon che la leggenda attribuisce l’origine del méthode champenoise, nel 1694, con un altro benedettino suo contemporaneo, Fratel Jean Oudart, a condividere con lui i meriti di aver dato impulso alla produzione del nettare che, così, inizia ad assumere le sembianze che conosciamo oggi. All’epoca di Dom Pérignon, infatti, a Reims e dintorni si dava vita a vini non troppo dissimili da quelli del resto di Francia. Piuttosto, i vignaioli della Champagne erano soliti ricorrere a qualche trucco grossolano: in parole povere, coloravano i bianchi ottenuti, che poco piacevano a quel tempo. Ma i loro vini avevano un altro, ben più serio, difetto: il particolare clima della regione li faceva fermentare di nuovo dopo l’inverno, trasformandoli da fermi a mossi. Dinamica fuori controllo, che conduceva all’esplosione di un gran numero di bottiglie per la troppa pressione. Narra il mito, che sia stato proprio il monaco benedettino a porre rimedio a questi incidenti di percorso grazie a una serie di fortunate intuizioni, ovviando attraverso quello che poi diventerà noto come méthode champenoise.

#1 Il méthode champenoise

Il cellario di Hautvilleurs, infatti, sceglie un giorno di recarsi in pellegrinaggio all’abbazia di Saint-Hilaire, nel Sud della Francia. Tra una preghiera e l’altra, ha l’occasione di osservare il processo alla base della nascita dei vini spontaneamente frizzanti di Limoux, e lo fa suo.
Tra mito e leggenda, ognuno ha la propria verità, ma nessuno questiona invece su un merito decisivo di Dom Pérignon: l’adozione della cuvée. La selezione e l’assemblaggio di uve e annate sono, infatti, il fondamento dell’unicità di ogni singolo Champagne come lo conosciamo oggi.

#2 Alle origini del mito

Uno sguardo alla dorata distesa di vigneti che colora la regione permette di fare intuire a prima vista la grandiosità di questo vino. Bollicine per eccellenza, non a caso, che nascono da uve raccolte, rigorosamente a mano, da sole vigne della Champagne. Siamo a circa 100 chilometri ad est di Parigi. Qui prende vita una Denominazione che si compone di 320 villaggi, di cui 17 sono quelli classificati “Grand Cru” e 44 “Premier Cru”, e spazia su oltre 34mila ettari vitati, per più di 280mila parcelle diverse. Se Châlons-en-Champagne è il capoluogo amministrativo della regione che regala il più spumeggiante tra i vini, le città enologicamente più importanti e quelle in cui il mito ha assunto la sua fisionomia sono Reims ed Epernay.

#3 La Craie e lo Champagne

A rendere lo Champagne quel nettare inconfondibile è il terroir in cui prende vita, caratterizzato da un microclima unico e soprattutto dalla Craie, il calcare gessoso che spesso arriva ad affiorare fin in superficie e in alcuni tratti raggiunge uno spessore anche di più un centinaio di metri, in cui le radici della vite affondano, ricevendovi i minerali che donano alle uve la loro vibrante energia.

Il savoir-faire di uno Champagne d’autore: Martin Orsyn

Dalle abbazie dei tempi passati fino alla grandeur dell’Avenue de Champagne delle grandi Maison, passando per i village cinti da quei filari sapienharvested temente curati ogni giorno da una moltitudine di uomini e donne, è una vera e propria cultura della vite e del vino quella che si è tramandata nel corso dei secoli.
È nel solco di questa straordinaria tradizione che si è innestato il cammino di Marie e Mathias, vigneron nella zona centrale della Montagne de Reims il cui contributo è fondamentale nel forgiare lo stile Martin Orsyn. Guidati dal desiderio di perpetuare la storia di famiglia e da un amore infinito per le bollicine, hanno scelto di mettere a disposizione il proprio savoir-faire per dare vita a uno Champagne d’autore.
Una bollicina dove la tradizione champenoise incontra il gusto italiano, che ha preso forma dall’intuizione di Martino Zanetti, il cui spirito artistico ne ha tratteggiato la colorata veste. Per un’immagine che dona contemporaneità a un’icona del vino, riportandola al cuore delle celebrazioni e ai fasti di una Belle Époque che torna a fare capolino nel calice. È una spumeggiante intesa questa unione tra Italia e Francia, ventata di novità per la più esclusiva tra le bollicine. 24, 30 o 48 mesi di affinamento sui lieviti in cantina, più un Millesimato: quattro le etichette, tutte 100% Premier Cru.